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Traducendo Einsamkeit

STANZE DEL NORD

SCORRONO LE COSE CONTROVENTO di FEDERICA GALETTO

ODE FROM A NIGHTINGALE - ENGLISH POEMS

A LULLABYE ON MY SHOULDER di Federica Nightingale

EMILY DICKINSON

giovedì 30 dicembre 2010

ERA LA FINE DI DICEMBRE







Era la fine di dicembre,la fine dell'anno che si preparava ad andarsene.
Non era poi così silente il suo andar via,si udivano infatti centinaia di voci sui gradini della scala che portava al piano di sopra; e dicevano che era ancora aperta una ferita o che le mani che non si toccavano più ancora non si riallacciavano.
Poi, l'acqua era fredda sulla stufa economica,la legna ancora mancava. Piangeva una donna,un bambino,le tende erano stinte e vecchie, i tappeti battuti da troppi battipanni languivano. Fra un cicaleccio e un ghermire di gioia non si spannavano i vetri, neanche per un minuto. Ma il sobbollire lento di un minestrone avvolgeva le mura,contente di respirare il cibo ghiotto di un pasto volatile come il fiato. Dai letti sortiva una colonna di pieghe morbide,così strette da non far passare il gelo. Non c'erano cose certe nè incerte in quel momento,tutto era sospeso in una incognita brillante prima, opaca poi. Il fuoco,trovato dopo aver rivoltato i resti sbriciolati in un angolo del ripostiglio, gongolava a più non posso e le densità amare di domani,ieri,oggi s'aggrovigliavano ai ritorni d'eco d'una speranza. Chè quella danzava sul portico e nel corridoio, e non si fermava mai, accorrendo per non perdersi fra le minuzie indesiderate, le piccole infastidite rogne domestiche. Il denaro era partito per tornare non si sa quando, e c'era un amante smarrito fuori alla porta che non si decideva a bussare. Mescolando la minestra pensavo che forse avrei potuto arrivare fino a primavera senza scorticarmi troppo le dita nel tentare di arrampicarmi ai sogni, e pensavo anche che le solite amarezze sarei riuscita ad annegarle nel brodo di carota e patate.In fondo erano povere cose ma fumanti,calde,ristoratrici. L'arte mi chiamava da dietro l'insonnolito giorno a finire.Il 31 dicembre era una data infame, non portava che gerle di pensieri e voci lamentose;eppure credevo davvero in quel pozzo d'insoluto e aspettavo il 1 gennaio con l'ansia d'un fanciullo. Ridevo fra me e me, che arrivasse l'anno nuovo, ne avrei fatto strati di coperte per stare bene, anche con cori e voci a gridare scontento. Avevo un piccolo dono nel grembo, un diamante che era la vita, all'ombra del solito dissacrante ghigno d'incerto,un futile slancio nel futuro che avrei vissuto senza gloria e senza lode, innamorata del solo istante.Uno solo.


Federica Galetto

lunedì 20 dicembre 2010

BUON NATALE









Cari lettori e amici, auguro a tutti voi un sereno Natale


Dear readers and friends, I wish you all a merry Christmas







E’ tempo di dondolio molle

ai picchi di freddo

E’ tempo d’oro argento e mirra

fra le coltri assonnate

E’ tempo di preghiere e doni

del cuore

E’ tempo

Sussurrare si può

nel lento procedere dell’Avvento






§







E’ il ritorno del passero

La cima gelata

O un cremisi velo da appendere

sui resti imbiancati

d’una notte inclemente

S’azzarda un corvo ai boschi

senza trovare bacche golose

dietro i postumi incalliti

d’un inverno in assedio

Posano ancora discinte

le nubi

rombanti coperte

in assoluto rigore

che pendono tetre

Sui colli, i misteri




Nightingale

domenica 19 dicembre 2010

giovedì 16 dicembre 2010

AXEL





Ramon Casas






A Sfidare L’Ultimo Ignoto.


(Nel ventre di gesso)

Estremi e silenziosi richiami,
vagiti involuti nelle crome dell’acqua
fra le dita cremisi di petali orfani
di crisantemi rarefatti, inginocchiati
al pianto del sole nascosto nel buio.

(è suicida il tormento)

Mulini a vento le bocche del cuore,
a macinare parole in fragili grida
d’affogato respiro, nell’ingiuria d’agosto,
dalla falciata identità da dodici lune,
con mari e crateri che sembrano occhi,
sempre più vuoti, sempre più neri.

(in attesa di quiete)

Incollo i miei giorni alle tempeste,
all’ancora d’ombra i sogni senz’ossa,
dove tacciono pallide, sirene di vetro.




Accolgo L’Orizzonte fra le Piume di Uno Sguardo Instabile.


(Non decido farfalle d’avorio)

Sfoglio le mie arterie,
nel limbo impreciso
d’un abbraccio non retto,
alla croce di ferro roSSo
che spinosa nega e annega
labbra antiche nell’alibi dell’oggi,
verso un cuore segregato.

(nel silenzio d’ebano)

Sono corvi i sogni neri
a circondare la mia follia,
tra le ore masticate piano
sulle pagine sfiorite del diniego,
sospeso sull’inferno che a ritroso
divora l’estasi e scolpisce il pianto,
con lame di carbonio e rose finte.

(spalmo gli azzurri)

Le mani buche
non trattengono più il mare,
solo ansie di fantasmi.

(tra i lamenti delle sirene)







La Luce Recita una Parte Minima.


(Non esiste geometria nel buio)

Apri gli occhi, Ofelia,
nel liquore che ti avvolge
tra i riflessi di stelle opache,
è colma di fiori la tua mano,
per le ore appassite in fretta.
Colori di parole mute le labbra strette,
dipingi di luna la tua pelle
a dimenticare il sole.
La bellezza raggiunge l'apice
e subito declina.

(ogni luogo è il centro dell'universo)

Torri di fantasmi e sogni,
corone d'oro vermiglio,
languori di carezze illuse.
Sorridi, al destino in maschera.

(si disperdono nel vuoto le comete)

La vita è fragile,
la morte è pietra e ferro,
l'amore un profumo distratto.

(Il dolore è AsImMEtRicO)




Forse la Neve, forse il Cielo.


(Cercavo l'oro del Nord)

Ero certo di trovarmi qui,
ombra della mia ombra,
al punto zero del tempo caduto,
nell'ultimo spazio concesso
alla polvere di spente comete,
lasciando al vento le carezze
e uno sguardo alla Luna.

(senza lasciare traccia)

Sogni e menzogne allo specchio
nelle tarde illusioni affondate
tra nude ninfee senza fiori,
incollate all'acqua nera.

(sul muschio, fra i licheni)

Un altro ha preso il mio posto,
i miei occhi e le parole.
Il mio nome dimenticato,
ora, è Nessuno.

(ascolto il pianto delle volpi)




Lamenti di Rubino, tra le Quinte della Prima.


Invade sottopelle il fremito
di fiamme azzurre e ghiaccio,
a confondere i miei sensi
in ipotesi d’oriente.

Calligrafie di china rossa
i graffi ad arte ricercati
su mappe nude, assetate
di notturni inchiostri.

A leccare sguardi al cielo,
la brama incolla bocche
e teatri d’estasi, nel rogo
d’anime svitate da corpi
in sulfurea ebollizione,
lasciando stemmi d’orme
in cera fusa di passione.

La condanna è sterile,
la Luna danza senza veli.




Il Gioco delle Nuvole ha la Voce del Tuono


Invano i muscoli tesi,
gli occhi nella colla del buio,
la schiena al limite d’arco,
mani spente da gemiti di ferro,
mentre scalcia il dolore
ululando al legno la sua ombra.

Invano lacrima il sangue,
nell'eco di un urlo.
Mi urli contro.
Dolci parole uncinate.
Mi ami e mi odi.
Vorrei aiutarti e non posso.
Potrei aiutarti e non voglio.
Ti osservo.

Tra essere e non essere
in bilico l’assenza di un destino.
Agisci e non pensi.
Pensi senza agire.
Tenti.
Sogni.
Sulla chaise longue
dello Scorpione,
Esiti e Vaneggi.
Raccogli a piene mani
schegge di lune cave.
Germogli sulla lingua
il sole del nostro vuoto
mentre scandisci il possesso crudo,
nel mio nome di pietra

Un raggio di luce infeltrito
bussa inutile,
fra le conchiglie.

Ti osservo, mentre vivi la tua fine
Senza fine.
Sepolto fra le stelle.
Ancora mi chiami.
Invano.
Sono solo un Osservatore.

La speranza apre le ali al vento,
ma il collare spinato
ha catene di sale,
per inchiodarla all'inferno
di numeri silenti.

Soffri da solo,
col cuore taciuto,
e siimi grato,
perché io sono qui,
che ti osservo.

Sono dure
e grattano il vuoto,
hanno sapore d'ambra,
le tue vene nude,
è il significato che svanisce,
nel rombo del tuono,
sulla coda di aquiloni zoppi
che gridano
alla finestra del mio cielo.



Axel©

lunedì 13 dicembre 2010

VERA D'ATRI - UNA POESIA DI NATALE










La famiglia al completo rallentava l'aria.
E il rosso dei fiori
per un istante varcò la soglia dell'autunno
portandosi dietro le ferite dei giardini
e il malanno della reclusione.

Così non potei far finta di niente
quando l'ombra color prugna della casa
si dliatò in cortesia d'abbracci
e l'alone delle candele pervase la tavola
d'un meravigliato lucore di teatro

e quando, nella mezzanotte ubriaca,
si aprirono i doni e nessuno ebbe la sua grazia
e il suo perdono, ma solo borse, scarpe, velluti

e quando tutti alzarono le coppe
per dirsi cose fracassate e scambiarsi
baci di fanghiglia rossa e abbrutite moine.

No, non potei persuadermi del Natale.

Da tempo perciò di questo giorno io preferisco restare
nel tuo letto a cogliere l'inverno di sorpresa
e con tutte le scarpe andarmene all'inferno,
intatta nei miei anni senza festa


Vera D'Atri©

giovedì 9 dicembre 2010

NATURA MORTA CON CAROTE

Collana Snáthaid Mhór - poesia irlandese contemporanea
Edizioni Kolibris
PAT BORAN, Natura morta con carote. Poesie scelte 1990-2007
Traduzione di Chiara De Luca
ISBN 978-88-96263-37-2
pp. 484, € 20,00

Forse è all’esempio di Miroslav Holub, scienziato e poeta al contempo, che Pat Boran deve una delle sue grandi acquisizioni—una oggettività che si potrebbe definire scientifica; una abilità di mantenere un determinato distacco dal suo oggetto, di distanziare la sua poetica dall’Io empirico, per conseguire una prospettiva più chiara sul mondo. Eppure il suo distacco non è in alcun modo dogmatico; il calore tonale e l’empatia emotiva non mancano mai laddove risultino appropriati: nella poesia d’amore o nell’elegia. A parte l’attitudine scientifica che Pat Boran spesso adotta nei confronti della realtà, la sua opera riflette un acuto interesse nei confronti del pensiero scientifico stesso. Tra i nomi citati nei suoi libri, troviamo J.B.S. Haldane, Niels Bohr e Albert Einstein. Ci sono “Appunti per un film sulla vita di Galileo Galilei”; una eclissi di luna osservata attraverso la lente poetica; e “Tempo di coricarsi nella casa dello scienziato” suggerisce che i semplici fatti del dato scientifico gettino un incantesimo simile a una storia (“Dicci i nomi delle lune di Giove, / le valenze degli atomi da 1 a 103”). Nella pregnante “Waving”, la rievocazione dell’infanzia confluisce inaspettatamente in una epifania scientifica nel preciso istante in cui una nota ridondante avrebbe potuto costituire un pericolo.
Mentre sperimenta nel suo laboratorio linguistico, Pat Boran – sfidando il rischio delle locuzioni frammentarie – è più spesso un poeta dell’implicazione che dell’esplicazione.
Il lettore si distanzia dalla testimonianza presentata ogni volta che lo scrittore muove verso il click finale della chiusa narrativa. Fin dall’inizio, Pat Boran esce vittorioso da quella che è una delle sfide più dure in poesia: capire quando una poesia sia da considerarsi finita e debba perciò essere lasciata sola. Non esagera mai né mai indugia più del dovuto; le sue poesie sono notevoli sia per la loro risonanza che per il loro ritegno. In senso molto lato, i testi di Pat Boran possono essere fatti rientrare in due categorie principali: poesie che delineano l’umana lotta per dare un senso alla nostra esistenza su un misterioso pianeta a galla – forse addirittura alla deriva – nello spazio; e poesie di modalità più diretta, in cui le persone vengono ricordate in vita, elogiate in morte o celebrate in amore.

Dalla introduzione di Dennis O’Driscoll






Pat Boran è direttore editoriale di Dedalus Press, una delle case editrici irlandesi più qualificate. Tra le sue più recenti pubblicazioni ricordiamo New Selected Poems (1999, 2005). Ha curato Wingspan: A Dedalus Sampler, è stato redattore di “Poetry Ireland Review” e presentatore di “The Poetry Programme” di RTÉ Radio.



da L’orologio scarico (1990)


For a Beekeeper


You rise in the morning, the residue
of dream-honey on your eyelids.
Mornings you are not at your best, but then
facing breakfast you remember how
the wings of your bees beat how many
times a second? how flowers are identified
by a sense more akin to taste than smell
or sight ... You see the queen,
big like a fruit, the precise
network of the honeycomb, the flowers
like excited shopkeepers, opening
their shutters to the sun’s gold coin.

There is barely time to shine your shoe
when, already at the window, the first drone
beckons you to court.






Per un apicoltore


Ti alzi al mattino, con un residuo
di miele di sogno sulle palpebre.
Al mattino non sei al meglio, ma poi
davanti alla colazione ti ricordi come
battano le ali delle tue api quante
volte al secondo? Come i fiori li distingua
un senso più simile al gusto che all’olfatto
o alla vista... Vedi la regina
grande come un frutto, la precisa
rete del favo, i fiori
come negozianti eccitati, che aprono
le saracinesche alla moneta d’oro del sole.

C’è appena il tempo di lucidarti le scarpe
quando, già alla finestra, il primo ronzìo
ti chiama in cortile.





His First Confession


Had she come to me with crimes
I’d heard before, or even
crimes unknown (for instance

computer fraud—a novelty
yet to reach this parish),
I would gladly have exchanged

the most insignificant
of penances—a running
genuflexion in the aisle

But today the grille and darkness
seemed more for my protection
than presupposed Gothic

decoration. Nine years old,
in finery of First Confession:
I hate you, Father.

The stone more silent
than it’s ever been, daylight
flooding through the doorway.





La sua prima confessione


Se fosse venuta da me con dei crimini
che avevo già sentito, o anche
sconosciuti (per esempio

frode informatica – una novità
ancora per questa parrocchia),
avrei volentieri barattato

la più insignificante
delle penitenze – una genuflessione
in corsa nella navata...

Ma oggi la grata e il buio
sembravano fatti più per proteggermi
che per fungere da gotica

decorazione. A nove anni,
nell’abito elegante della Prima Confessione:
Ti odio, Padre.

La pietra più silenziosa
di quanto non sia mai stata, la luce del giorno
che straripava dall’entrata.




When You are Moving into a New House


When you are moving into a new house
be slow to write the address in your address books,
because the ghosts who are named there
are constantly seeking new homes,
like fresher students in rainsteamed phone booths.

So by the time you arrive with your books
and frying pan, these ghosts are already
familiar with that easy chair, have found
slow, slow creaks in the floorboards,
are camped on the dream shores of that virgin bed.





Quando stai per traslocare in una nuova casa


Quando stai per traslocare in una nuova casa
trascrivi lentamente l’indirizzo in rubrica,
perché gli spettri che vi sono nominati
sono sempre alla ricerca di nuove case,
come matricole in cabine telefoniche striate di pioggia.

Così prima che tu arrivi coi tuoi libri
e un tegame, gli spettri sono già
intimi con quella poltrona, hanno trovato
lenti, lenti scricchiolii nelle assi del pavimento,
sono accampati sulle rive di sogno di quel letto vergine.







Memorandum


Many earths away is where I was
yesterday, last year, is where today
I am headed. To find myself

I must open the doors and windows,
front and back, like a schoolchild
look both ways before the road.

For always I am on this string
of being—unformed—somewhere
between history and promise.






Memorandum


A molte terre di distanza è dove ero
ieri, l’anno scorso, è dove oggi
sono diretto. Per trovare me stesso

devo aprire porte e finestre,
di fronte e sul retro, come uno scolaro
guardare su entrambi i lati della strada.

Perché da sempre sono su questa corda
dell’essere–incompleto–da qualche parte
tra storia e promessa.





Modus Vivendi


Forget the future, your death,
the surprise on your face. Forget
everything you’ll learn, too late.
Arrest the thought. What could compare
with the selflessness of plants
that mark the spot
where you will lie? If such
unthinking things can justify
the presence of the sun and planets
more completely than can you
(with all your grave considerations),
why think at all? Why squander
the irreplaceable energies? Abandon,
like some evolutionary cast-off,
this thing that brings us closest
to extinction. Forget the evidence,
the argument. Close your ears
to all debate. Forget I ever said a word—
forget this poem.






Modus Vivendi


Dimentica il futuro, la tua morte,
la sorpresa sul tuo viso. Dimentica
tutto quel che imparerai, troppo tardi.
Arresta il pensiero. Cosa mai eguaglia
l’indifferenza delle piante
che segnano il punto
in cui giacerai? Se queste
cose non pensanti possono giustificare
la presenza del sole e dei pianeti
più pienamente di quanto tu non possa
(con tutte le tue gravi considerazioni),
perché mai pensare? Perché sprecare
insostituibili energie? Abbandona,
come una spoliazione evolutiva,
questa cosa che ci porta tanto vicino
all’estinzione. Dimentica l’evidenza,
l’argomento. Chiudi le orecchie a tutto
il dibattito. Dimentica ch’io abbia mai fiatato—
dimentica questa poesia.





Safekeeping


In the dream-land of a child
I met a man who would never die,
to whom could be given precious things.

But the map was lost, or the child was wrong.
The eternal man was never found.
Hard wind is the only wind that sings.

I leave my gifts in this snow for you
where I lose myself, trying to be true,
following footprints—probably my own.




Custodia


Nella terra di sogno di un bimbo
incontrai un uomo che mai sarebbe morto,
cui potevi affidare cose preziose.

Ma la mappa era perduta, o il bimbo sbagliava.
L’uomo eterno non si trovò mai.
Il solo vento che canta è il vento forte.

Lascio i miei doni per te in questa neve
dove ho perduto me stesso, tentando di essere vero,
seguendo impronte—probabilmente le mie.






Dark Song


Here we are in the park
with darkness crouched behind trees
and daylight dissolving over the city.
Something unbelievable is happening.

All day this ghost of knowledge
has whispered in my ear, all day
the very cracks in the footpath
seem significant. Something unbelievable

The meteor of your cigarette tip
swoops close to earth, hearth
of loving in a cold universe.
The playground swings grind their teeth

and pause. What else is there to say?
It is in our silences now, as in our voices,
that something unbelievable.
We are growing older.





Canto oscuro


Eccoci nel parco
con il buio acquattato dietro gli alberi
e la luce del giorno in dissolvenza sulla città.
Qualcosa d’incredibile sta avvenendo.

Tutto il giorno questo fantasma della conoscenza
mi ha sussurrato all’orecchio, tutto il giorno
i numerosi schianti sul sentiero
sembrano avere un senso. Qualcosa d’incredibile

la meteora della punta della tua sigaretta
piomba vicino alla terra, focolare
d’amore in un universo freddo.
Le altalene del cortile digrignano i denti

e si fermano. Che altro c’è da dire?
È nei nostri silenzi ora, come nelle nostre voci,
quel qualcosa d’incredibile.
Stiamo invecchiando.




For S with AIDS


When a star dies, my love, my man,
when it gets so tired, burnt out, so heavy,
it starts to fall back into itself,
it starts to grow in density, shrink
until, at last, there comes a time
when light escapes from it no more,
when time means nothing any more,
when science, naming and love itself
wring their hands at the hospital door.
Nothingness, absence, passing, loss ...
our secret, sleeping partners, S.


2.

Ouroboros, the mythological serpent
consuming itself, renewing itself,
the snake of Eden, snake of the tree,
the serpent coiled round the staff of being
still found on local chemists’ signs,
like the one where you binged on vitamins—
what was it, three years back?—all set
to fight what you were sure was ‘flu,
then toothache, backache, headache, gout...
Now your name cannot be spoken here
in these half-lit corridors leading nowhere
but I can hear your playful hiss,
snake brother, snake lover, S.

3.

Close up, the red-shift of apple skin
is a microcosm of the universe,
at once unbounded and finite.
See, what they did not tell us, S,
was that in Eden there were many trees
and many apples on their boughs,
on the skin of each whole galaxies,
in the core a constellation of seeds.
Unpicked the apple would still have fallen
to return to death and be born again
in whole new trees, in each apple of which
new seeds, new orchards, whole new Edens.

PS—And S, the snake’s sloughed skin
is what he was, or will be, not what he is.





Per S malato di AIDS


Quando una stella muore, mio amore, mio uomo,
quando è ormai così stanca, esaurita, pesante,
comincia a ricadere in se stessa,
comincia a crescere in densità, a ritrarsi,
finché, infine, arriva un momento
in cui la luce non fugge più da lei,
quando il tempo non significa più nulla,
quando scienza, nominazione e l’amore stesso
si torcono le mani sulla porta dell’ospedale.
Nullità, assenza, passaggio, perdita...
i compagni segreti con cui dormiamo, S.


2.

Uroboro, il serpente mitologico
che si consuma, che si rinnova,
il serpente dell’Eden, serpente dell’albero,
il serpente arrotolato attorno al bastone dell’essere
che ancora si trova sulle insegne delle farmacie locali,
come quella dove t’imbottivi di vitamine—
cos’era, tre anni fa?—tutto pronto
a combattere quella che eri sicuro fosse influenza,
poi mal di denti, mal di schiena, mal di testa, gotta...
Adesso il tuo nome qui non si può pronunciare
in questi corridoi in penombra che non portano
da nessuna parte, ma sento il tuo sibilo giocoso,
fratello serpente, serpente amante, S.

3.

Da vicino il rosso mutare della pelle di mela
è un microcosmo dell’universo
sconfinato e finito al contempo.
Vedi, quel che non ci dissero, S,
è che nell’Eden c’erano molti alberi
e molte mele sui rami,
sulla buccia di ciascuna una galassia intera,
nel torsolo una costellazione di semi.
Non colta la mela doveva ancora cadere
per tornare alla morte e nascere di nuovo
in nuovi alberi intatti, in ogni mela da cui
nuovi semi, nuovi frutteti, nuovi Eden intatti.

PS—Ed S, la pelle dismessa del serpente
è quel che era, o sarà, non quel che è.

giovedì 2 dicembre 2010

COLETTE NYS-MAZURE










IL GRIDO DELL’ALBA
Colette Nys-Mazure

Etica del nord

In questi paesaggi senza altezza, dove lo sguardo salendo non incontra che nuvole a sostenerlo, non era forse un grido di campanile tra i pioppi, che non è costretto a cercare in se stesso l’altezza?

Quando tace il canticchiare del sole contro le finestre – per altri cieli il suo canto pieno – e s’indorano le fronde, è tempo di accendere le lampade, attizzare i fuochi, sprofondare di nuovo in se stessi alla ricerca di una via più rigorosa.

L’inverno sarà troppo dolce per aguzzarci i sensi: nelle piogge, nel nevischio, nelle nevi fugaci, si estenuerà la nostra sete di austerità. Dovremo resistere nel grigiore senza gloria del pantano e ancora resistere; in attesa di una improbabile primavera.

Che spunterà all’improvviso sotto le minuscole pozze di violette, nel bel mezzo della danza dei giacinti selvaggi, sotto le cascate dei frutteti in fiore, nei profumi opprimenti di narcisi e lillà.

Paesi temperati, paesi piatti privi di certezze, senza passioni, se non quelle oscure e sempre trattenute. Paesi di lente tenerezze e slanci discreti.

Regioni d’ombre fluide, agitati da venti che giocano nelle orme, faggi purpurei, vasti castagni; regioni d’acque lente, di colline basse. Territori interiori consegnati ai ferventi: agli attenti del piccolo mattino, ai pazienti del mezzogiorno, ai ritardatari del giorno. Terre di fedeli.
Che nulla muoia senza aver amato

Per entrare con tenerezza, tracciare un cerchio d’oblio, silenzio, solitudine; insediarsi nel presente più nudo, più folto; ancorarsi nell’istante, svegliarsi allo zampillo delle fami. Allora si dispiega la via immediata, che scava e s’invola, si dipana e si annoda.

Nel cavo della mano gira il ciottolo di una spalla, di un ginocchio; nella conca di un ventre tremola la spuma di una capigliatura; sulla spiaggia del dorso corre il soffio di una lunga carezza e alla bocca si apre una bocca straniera, familiare, l’urgenza del morso.

Portare in sé il miele e il fuoco, un riflesso di sole riposto fino alla prossima stagione. Senza viatico, chi potrebbe avanzare in terra ostile, nella desolazione del deserto?


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IMPRONTE SULL'ACQUA





Testi: Francesco Marotta, Performer: Francesca Catellani, Voce e regia: Enzo Campi




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